Tana dell’Omo Selvatico

L’ingresso è a 1150 metri, la profondità è 281 metri e lo sviluppo spaziale circa 1400.
La grotta era conosciuta dai valligiani da tempo immemorabile e su di esso avevano creato leggende paurose.
La prima discesa, di poche decine di metri, risale al 1912, una successiva nel 1923 si spinse più avanti, ma solo nel periodo 1929-1930 una spedizione del GSF percorse la grotta per intero.
L’ingresso è un inghiottitoio di dimensioni imponenti nel quale si perde un piccolo corso d’acqua che scende dal Corchia, la grotta consiste in una serie di gallerie e di pozzi.
Il nome deriva da una figura molto diffusa nel folklore locale ed in generale in tutto il mondo.
Peloso, mostruoso, selvaggio ed abitatore di caverne, l’homo selvaticus è un mito che nasce con l’umanità: è il passato ancestrale che non si può dimenticare.
Ad esso si guarda da una parte con nostalgia per quello che si è perduto e dall’altra con disprezzo e senso di superiorità per la civiltà che pensiamo di aver acquisito.
Quindi si guarda ad esso con un misto di paura e di ammirazione ed egli stesso acquista sia valenze positive che negative nell’immaginario collettivo.
Le leggende locali dicono che egli insegnasse ai pastori come utilizzare il latte per fare formaggio e ricotta, ma poi infastidito dalle loro ulteriori richieste se ne tornasse nelle sue grotte.
Comunque altre versioni lo considerano come un essere pericoloso che si aggira per le selve da cui esce per rapire le fanciulle ed è dedito a riti sanguinari e pagani.

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